Questi progetti partono dalla considerazione che i precedenti accordi di Kyoto siano falliti, benchè alcuni indici siano apparentemente positivi, poichè con la delocalizzazione delle attività produttive dai paesi industrializzati ai paesi emergenti si è palesata la dissimmetria fra i paesi produttori inquinanti (il trattato di Kyoto consentiva ai paesi emergenti di inquinare) ed i paesi consumatori dei beni prodotti inquinando.
In altre parole l'industria ha licenziato e dismesso le attività produttive in paesi che applicavano il contenimento delle emissioni, come l'Italia, e si è spostata in paesi emergenti, liberi di inquinare e con stipendi/costi della vita nettamente inferiore, vendendo comunque nei paesi consumatori prodotti altamente inquinanti.
Molti paesi emergenti come la Cina non sono favorevoli alla limitazione delle emisisoni.
In queste condizioni si deve trovare una forma alternativa che permetta di contenere le emissioni agendo sui nuovi meccanismi di commercio.
Per questo motivo l'Enea ha presentato tre possibili soluzioni:
- eco-etichette e una nuova tassa per i prodotti non eco sostenibili, l'ICA (Innovare i meccanismi?);
- tassa rifiuti tares più verde per i rifiuti (La riforma della gestione dei rifiuti urbani);
- interventi di eco-efficienza negli edifici pubblici (Riqualificazione ambientale e ripristino della legalità edilizia a carico degli abusivi).
Aggiungere tasse non è un sinonimo di produzioni a chilometro zero, specie per il fatto che oramai non è rimasto più nessuno in Italia ad investire in produzioni/aziende locali (nè lo Stato fortemente indebitato, nè le banche avide di bonus per i manager ed indebitate, nè i privati non fuggiti all'estero coinvolti in forme di finanza speculativa in borsa più che di creazione di posti di lavoro).
La tassa sui rifiuti, tares, secondo Enea andrebbe riformata (un'altra volta?! l'hanno appena creata) per considerare nuovi aspetti (copio dal blog nuove-energie-rinnovabili.blogspot.it):
- attribuire i costi di gestone dei rifiuti ai soggetti che immettono sul mercato prodotti potenzialmente generatori di rifiuti;
- il contributo ambientale da caricare al prezzo dei prodotti immessi al consumo (venduti al pubblico) dovrebbe essere tale da coprire i costi per il recupero dei prodotti a fine vita, in modo da consentirne il riuso, il riciclo o lo smaltimento (termovalorizzatore o discarica) - idea di riforma ispirata al principio dell' "inquinatore paga", così come evidenziato in molti documenti dell'Unione Europea;
- incentivi alla partecipazione attiva dei cittadini/comunità locali alla riduzione della produzione di rifiuti indifferenziati da mandare al termovalorizzatore od in discarica.
Il secondo punto tiene conto delle disposizioni che entreranno in vigore dal 14 febbraio in recepimento della Direttiva Europea 2012/19/UE riguardo lo smaltimento dei rifiuti tecnologici.
Il terzo punto prevede un incentivo economico per la partecipazione attiva dei cittadini allo smaltimento dei rifiuti.
Le proposte Enea considerano che in Italia in senso generalizzato la raccolta differenziata è ferma e paiono considerare il riciclaggio dei rifiuti come un costo per province ed amministrazioni locali, anzichè come una riduzione di costi, così come viene palesato dal Comune di Spinea.
Il ricavo derivante dalla vendita delle materie prime riciclate annulla i costi di trasporto e trasformazione, quindi con un 80% di raccolta differenziata, si ha una riduzione al 20% (un quinto) dei costi di gestione dei rifiuti.
Tuttavia c'è un fattore di scompenso in questo modello per le famiglie, le quali acquistano beni ad un prezzo (costo materiali riciclati acquistati per produtte un bene, costo lavoro, produzione e trasporto, costo rivenditore), ma non ricevono alcun compenso per la cessione gratuita del bene al sistema di riciclaggio dei rifiuti.
Nel ciclo di produzione e riciclaggio i clienti sono gli unici che acquistano con denaro e "vendono" a prezzo nullo alla fase successiva del ciclo.
Il terzo progetto Enea presentato al Governo Letta prevede invece interventi di efficientamento degli edifici pubblici, ovvero qualcosa di parallelo a quanto già visto con il PAES per i beni e gli immobili del livello comunale.
Enea sembra ignorare l'esistenza del Patto dei Sindaci ed i PAES.
In effetti anche lo Stato nazionale, regioni e province hanno beni immobili sparsi per vari Comuni d'Italia; quindi pur non rientrando nel Patto dei Sindaci che prevede interventi di efficientamento energetico per gli immobili di proprietà delle amministrazioni locali, possono contribuire alla riduzione delle emissioni cittadine, essendo pur evidente che però nei PAES, come quello del Comune di Spinea, non viene contemplata nessuna mappatura degli immobili/attività di proprietà di province, regioni, Stato o dei possibili benefici di emissioni deducibili nel Comune.
In effetti le regole per valutare il PAES presentano molte falle e lacune che pian piano emergono, e, dato che deve dare contributi entro il 2020 (mancano meno di 6 anni), andrebbe aggiornato in modo più celere.
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